La nostra storia - TeatrodelleContrade

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La nostra storia

Dal suo debutto sotto la regia di Emanuele Santoro, nel giugno 1997 la compagnia con La febbre del fieno di N. Coward, la compagnia concentra la sua attenzione su opere in lingua italiana, in particolare opere classiche: Il malato immaginario, di Molière (1999); Amleto ...con l’aiuto di Orazio, da “Amleto” di W. Shakespeare (2000); Romeo e Giulietta, da W. Shakespeare (2003), tutte con la regia di Emanuele Santoro; Il Cappotto adattato dai “Racconti di Pietroburgo” di N. Gogol (2005) con la regia di Andrea Noce Noseda; Il Soldato fanfarone o Miles Gloriosus, commedia burlesca di Tito Maccio Plauto; Teatro a pezzi, assemblage di quattro atti unici tratti dalla “Corista” di A. Cechov, “Cécé” di L. Pirandello, “Pericolosamente” e “Amicizia” di E. De Filippo; Casi strani, altro assemblaggio di tre atti unici tratti da “Figura Materna” e “Fra un boccone e l’altro” da “Confusioni” di A. Aickburn e “I cadaveri si spediscono e le donne si spogliano” di Dario Fo; Spirito allegro, adattato dall'originale di Noël Coward; Babilonia, scritto e adattato da Fabrizio Pestilli, Non tutto è come sembra, assemblaggio di quattro atti unici in dialetto ticinese e italiano; questi cinque ultimi spettacoli con la regia di Fabrizio Pestilli.

La compagnia sperimenta anche, in collaborazione con altre compagnie, l’uso del dialetto ticinese con I dü dal Cech (2002), attingendo anche in questo caso, seppure solo come fonte d’ispirazione, da classici (“L’Orso” e “La domanda di matrimonio” di A. Cechov) con la regia di Emanuele Santoro.

L’opera classica, però, da ri-inventare attraverso un lavoro di adattamento o di riscrittura; questa è la peculiarità delle scelte artistiche della compagnia. Ma soprattutto il classico come possibilità di studio-lavoro sui personaggi, ricerca di uno stile che trae origine dalle specificità degli attori. Uno stile che si ritrova, e si identifica spesso, nel grottesco, nel paradossale, e comunque nel fuori-dal-modo. Personaggi a tratti marcati, a tinte forti, al limite del possibile, del verosimile, la cui caratterizzazione va a diretto servizio della drammaturgia, al fine di esaltarne quanto di specifico la scelta registica abbia deciso di esaltare, nel suo svolgersi sulla scena.
Un lavoro che richiede dei ritmi ed un apporto energetico che stanno al limite delle convenzioni dei gruppi non professionali, se non altro per quanto riguarda il panorama indigeno. Da una fase di studio del testo, con due incontri settimanali, si passa infatti ad un periodo di impegno intensivo che diventa quasi quotidiano nelle due-tre settimane che precedono il debutto. Debutto che si colloca non alla fine del percorso creativo di allestimento, bensì al suo centro. Lavoro che si persegue attraverso sé stesso, e che, in una modalità di continua ricerca, vuole privilegiare non tanto la rappresentazione come evento a sé, quanto, piuttosto, l’evoluzione dell’azione scenica.
Un’esperienza, dunque, in continuo divenire, ma con la costante consapevolezza del proprio agire.
Una compagnia che ha, peraltro, l’ambizione di produrre spettacoli che non si rifacciano al cliché di rappresentazione consolatoria, ma che trovino nel dinamismo, e nella continua innovazione, la propria forza e il proprio carattere artistico. Una banda di Don Chisciotte? Forse.
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